In questa settimana siamo stati spettatori,di un duro attacco alla categoria dei giornalisti, sia da parte della classe politica, che da azioni mirate ad offendere, come nel caso di Federico Russo.

“Non sono d’accordo con te, ma darei la vita purché tu possa dirlo”. In questa celebre frase, erroneamente attribuita a Voltaire (di fatti la paternità di tale affermazione deve essere riconosciuta a  Evelyn Beatrice Hall, attiva nella prima metà del 1900. Evelyn la scrisse nel 1906, inserendola nella biografia di Voltaire, chiamata The Friends of Voltaire” ) è racchiusa l’essenza di qualsiasi democrazia.

Nella nostra Costituzione, all’articolo 21 si stabilisce che:

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Ci troviamo, dunque, a fare i conti con un vero e proprio tentativo di sottomettere il mondo del giornalismo. Esiste un limite alla libertà di esprimersi? Proprio la complessità del reale, dunque l’impossibilità di avere una visione univoca della realtà, ci porta ad una dimensione polifonica e a dover considerare più prospettive in cui ognuna necessariamente esprime una possibilità più o meno valida di interpretazione.

Nell’era dominata dall’informazione, e soprattutto dalla disinformazione (dovuta dall’avanzare dei social)  rischiamo di fare due passi indietro piuttosto che in avanti. Nella politica, nello sport e in tutti gli altri settori della società, troviamo sempre il modo di porre il giornalista come capro espiatorio.

Due passi indietro, sinonimo di violazione della libertà. È lecito dire pure di esserci e di far vedere, che siamo partecipi della vita in una sorta di slogan quasi cartesiano “posto-dunque-sono”? Forse no: i social hanno lasciato emergere l’immaturità del mondo nel filtrare (che significa in gran parte discutere accuratamente) il vero dal falso, la calunnia dalla verità.

Come se porre l’accento sulle contraddizioni nelle nostre architetture di pensiero equivalga alla censura. Come se ogni pensiero fosse lecito in nome della «libertà di parola».

Nel suo “Discorso sulla Costituzione” del 1955, Piero Calamandrei sosteneva che:

la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo

La libertà è la possibilità di dubitare, la possibilità di sbagliare, la possibilità di cercare, di sperimentare, di dire no a una qualsiasi autorità, letteraria artistica filosofica religiosa sociale, e anche politica.

Ci sono e ci saranno sempre degli equivoci in  merito. Ma va ricordato ogni qual volta che il genere più importante di libertà è di essere ciò che si è davvero.

 

 

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