Il 25 aprile è una ricorrenza nazionale che ogni anno solleva polemiche e scontri; una festa di cui forse si è perso il senso, che si sente lontana nel tempo e nelle ideologie, ma ancora profondamente attuale.

Provando a ritornare ai motivi per cui è stata dichiarata festa nazionale, è possibile comprendere le ragioni per cui è ancora importante festeggiare questa ricorrenza e quello che essa può insegnare a ciascuno di noi.

Simbolicamente, il 25 aprile rappresenta il culmine della lotta nazifascista e di Resistenza e l’inizio di un governo che porterà l’Italia alla Costituzione e al Referendum del 2 giugno 1946.

Il 25 aprile 1945 infatti il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, CLNAI, con sede a Milano, proclamò l’insurrezione nazionale nei territori ancora invasi dai nazifascisti. l CLNAI ordinò di attaccare tutti gli avamposti rimasti in mano ai nazisti così da implicare la loro resa prima dell’arrivo degli Alleati. 

Già così, l’importanza storica e simbolica di questa data per l’Italia è evidente. Uscendo dagli schieramenti politici e ideologici, essa rappresenta le fondamenta su cui si è costruita la Repubblica Italiana come la conosciamo oggi.

Ma proviamo a tornare ai protagonisti dell’insurrezione nazionale, protagonisti anche della Resistenza di cui la data è culmine, per cercare di comprendere il messaggio che questa festa può darci: i partigiani.

Questa parola oggi ha una forte connotazione ideologica, per altro spesso sommaria. Ritornando all’etimologia della parola, partigiano è chi parteggia, chi si schiera da una determinata parte; per estensione, fautore, sostenitore di una idea, di una tesi, di una dottrina e simili.

L’etimologia della parola manca dunque di presenza politica: l’attenzione torna sul singolo individuo. Visti sotto questa luce, i partigiani della Seconda Guerra Mondiale si configurano come individui che, stanchi dell’Italia occupata dai nazifascisti, stanchi della guerra e, almeno in parte, spinti dal desiderio di pace e libertà, hanno agito in funzione della giustizia. Mancava certezza di vittoria, ma l’impegno individuale in direzione del cambiamento veniva messo sopra la paura.

Se si ritorna all’etimologia del termine, partigiani allora possono essere considerati tutti quegli individui che si schierano contro qualcosa di ritenuto dannoso a favore di qualcosa ritenuto giusto; coloro i quali si schierano contro la mafia, ad esempio, o contro l’inquinamento ambientale.

Prendiamo l’esempio dei partigiani contro la mafia, sempre inteso nel senso originario della parola; la storia di Rita Atria può aiutare a comprendere l’attualità della ricorrenza.

Rita Atria nel 1992 aveva 17 anni e un sogno: quello di vivere in un mondo onesto. Lei era siciliana, di famiglia mafiosa, ma aveva scelto di affidarsi a Paolo Borsellino e di diventare testimone di giustizia. Per questo, i famigliari più stretti la rinnegarono ma lei, forte della fiducia che Borsellino ha nei suoi confronti, continuò a denunciare. Quando la mafia uccise il giudice, Rita si suicidò. Tuttavia, lasciò una testimonianza di impegno concreto, e delle parole forti.

“Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare? Forse, se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.”

Questa è l’attualità profonda del 25 aprile oggi: pone davanti a ciascuno di noi la richiesta di un impegno concreto e di una presa di posizione.

Questo può insegnarci questa ricorrenza, andando oltre anche la sua importanza storica: a essere anche noi partigiani rispetto a quello che riteniamo giusto. Così, anziché lamentarci per un mondo che non va nella direzione in cui vorremmo, potremmo dire di aver fatto qualcosa per cambiarlo.

Fonti: Treccani, Wikipedia

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