E oggi?

Il complesso è un manifesto della Tradizione europea colta nella sua stratificazione.

Capisco che molti non  percepiscano Halloween come autoctona del nostro paese, spesso opponendovi il carnevale e, talvolta, vivendola come un rito pagano e\o satanico, portatore di malvagità. Per costoro ho due obiezioni:

1) come ho già detto sopra, nella mia terra lombarda i racconti dialettali sono ricolmi di reminescenze celtiche, dai folletti, alle streghe, alla Caccia Morta; sottolineo altresì la presenza di numerose cornamuse locali, tutte diverse sia tra di loro sia da quella scozzese, la più famosa delle quali (grazie ad alcuni gruppi metal) è il baghèt bergamasco.

E non dimentichiamoci del Gaì, la lingua dei pastori che è a tutti gli effetti un dialetto gallico (cioè del ceppo dei celti d’oltralpe, ma non di quelli d’oltremanica).

Tutto ciò vale per una buona parte del Nord, ed almeno anche per il Piemonte, la Liguria e la Valle d’Aosta, cioè per circa 17 milioni di italiani (e stiamo tralasciando l’alta Toscana e alcune zone dell’Emilia e del Veneto).

Quasi un terzo della popolazione nazionale. Difficile ridurre il tutto, come spesso accade, ad un’americanata. Al massimo si può discutere del lato consumistico della ricorrenza, ma allora iniziamo parlando del Natale.

2) Per secoli l’opposizione clericale ha rischiato di far si che l’enorme radice culturale di cui al punto 1 fosse perduta. L’esempio più eclatante riguarda quelle cornamuse: avvertite inconsciamente come eredità precristiane, esse sono state raccolte e accomunate dall’infamante epiteto di “sacca del diavolo”. Per secoli è stato proibito il loro utilizzo e la loro memoria è stata tramandata solo dai pastori. Per secoli i preti ci hanno raccontato che il loro suono era foriero di sventura e che avrebbe provocato la Caccia Morta. Oggi in terra orobica esistono un’infinità di bagheter, che vengono impiegati persino nelle veglie natalizie, e non vi è nessuna notizia di demoni scorrazzanti per le nostre valli in dette circostanze.

A parte i milanesi, ma questa è un’altra storia.

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