Per secoli in tutto il mondo degli uomini hanno provato con l’alchimia a superare i limiti della materia e dello spirito per trovare l’onniscienza, l’immortalità e la famigerata pietra filosofale. Coloro che dedicarono la loro vita a queste ricerche tanto impossibili quanto affascinanti sono gli alchimisti.
Definire l’alchimia è complesso. All’interno di questo sistema filosofico ed esoterico è possibile individuare elementi di chimica, fisica, astrologia, metallurgia e medicina. Le arti figurative rimasero a lungo influenzate dalla Magna Ars. Inoltre l’alchimia è considerata il precursore della chimica moderna e sviluppatrice di un primitivo metodo scientifico.
La parola “alchimia” (la cui pronuncia più corretta non è “alchimìa”, ma “alchìmia”) ha origini discusse. Il termine in sé deriva dall’arabo “al-khimiyya” (che è alla base anche della parola “chimica”) che, a sua volta, discende dal greco “khymeia” (legato al verbo che significa “fondere”, “saldare insieme”). Un’altra etimologia vuole che la parola sia collegata con Al-Kemi che vuol dire “Egitto” e per estensione “arte egiziana” dato che anticamente il popolo del Nilo era considerato il migliore nella magia. Una terza possibile origine riconduce il termine alchimia al cinese “kim-iya” che vuol dire “succo per fare l’oro”.
Gli alchimisti si ponevano diversi obiettivi molto ambiziosi: raggiungere l’onniscienza; creare la panacea, il rimedio a tutte le malattie e la chiave dell’immortalità; ricercare la pietra filosofale, capace di trasmutare sostanze e metalli come il piombo in oro.
L’alchimia non è solo un insieme di conoscenze fisiche e chimiche, ma presenta anche una elaborata riflessione su temi metafisici e filosofici. Da ciò si evince che ogni materiale ed ogni processo hanno un doppio significato, fisico e spirituale. Infatti un alchimista vedeva nel piombo ciò che è negativo nell’essere umano e nell’oro ciò che è positivo. Pertanto il processo di trasformazione del piombo in oro rappresenta lo sviluppo interiore dell’uomo fino alla liberazione spirituale e alla riscoperta della propria “natura interna”.
I risultati degli esperimenti alchemici venivano riportate in opere scritte con un linguaggio criptico ricco di allegorie per evitare che i testi cadessero nelle mani sbagliate. Un esempio di allegoria è la trasformazione stessa dei metalli meno pregiati in oro attraverso la pietra filosofale che simboleggia il tentativo dell’uomo di giungere alla perfezione e all’immortalità. Quest’ultime erano raffigurate con l’oro in quanto era considerato un materiale incorruttibile e quindi portatore del segreto dell’immortalità.
LA LUNGA STORIA DELL’ALCHIMIA.
CINA E INDIA.
L’alchimia si sviluppò contemporaneamente in Oriente e in Occidente, ma assunse caratteristiche e finalità diverse in base al luogo e al periodo storico.
In Cina la tradizione alchemica risale probabilmente al IV secolo a.C., ma è documentata con sicurezza solo nel 142 a.C. nel commentario di Wei Po-Yang al Libro delle Mutazioni.
In quest’opera si descrivono alcuni dei cardini dell’alchimia cinese. Alla base di tutto ci sono i due principi contrari Yin, associato al Sole, e Yang, legato alla Luna. Da questi due fattori (uno attivo, Yin, e l’altro passivo, Yang) traggono origine cinque elementi (acqua, fuoco, legno, metallo e terra) collegati ai pianeti.
Col passare dei secoli l’alchimia cinese si legò sempre di più alla religione taoista come dimostra l’opera di Ko Hung, uno dei più grandi alchimisti del Paese dell’Estremo Oriente.
Dal IV secolo d.C. gli alchimisti della “scuola esterna” (waidan) si dedicarono alla ricerca dell’elisir della lunga vita attraverso la creazione di rimedi fatti con prodotti vegetali, minerali ed animali. Dall’altra parte la “scuola interna” (neidan) cercava di scoprire i segreti dell’immortalità studiando la trasmutazione interna del corpo che si ottiene attraverso l’utilizzo delle funzioni vitali come la respirazione e la circolazione. La medicina tradizionale cinese ha assimilato in sé la farmacologia della scuola esterna e le pratiche mediche di quella interna conservando molti termini alchemici.
In India le arti alchemiche si svilupparono inizialmente in senso soteriologico ovvero per trovare la rinascita e la liberazione del corpo. Gli alchimisti indiani conducevano esperimenti chimici i cui risultati materiali (scoperta di molti fenomeni), in realtà, avevano un’importanza secondaria rispetto a quelli spirituali. Il fine ultimo di questi ricercatori era l’Amrtattva, la vita senza morte.
Durante il Basso Medioevo (dall’anno Mille al 1492), l’alchimia in India mutò radicalmente i suoi scopi passando dalle ricerche soteriologiche a quelle chimiche e farmaceutiche. Oggetto di studio erano farmaci a base di metalli e minerali. Il più grande alchimista di questa seconda fase fu Sriman Nagarjuna Siddha che scrisse dei trattati sulla magia, il mercurio e gli atomi.
GRECIA E ROMA.
In Occidente l’alchimia venne praticata dapprincipio dagli Egiziani, considerati nell’antichità i più grandi alchimisti mai vissuti. Dei testi originali egizi non è sopravvissuto nulla, ma le loro conoscenze furono in parte riprese dai Greci.
Il fondatore dell’alchimia in Egitto è avvolto nella leggenda e fu ricondotto al dio Thot, chiamato dai Greci Ermete Trismegisto (“tre volte grandissimo”). Questo leggendario alchimista compose una grande quantità di opere su tutti i campi della conoscenza. Peraltro il simbolo che lo contraddistingueva, il caduceo, divenne uno degli emblemi dell’alchimia e poi dei farmacisti.
Quando i Greci vennero a contatto con l’alchimia egizia, la mescolarono con diverse correnti filosofiche e la migliorarono. L’evoluzione dell’arte alchemica greco-egiziana passò attraverso tre fasi. Nella prima l’alchimia era concepita come una tecnica, una serie di conoscenze empiriche apprese nei secoli dagli Egiziani.
La seconda fase vide questo sapere pratico dotarsi di una base filosofica proveniente dal pitagorismo, dalla scuola ionica e dallo gnosticismo.
L’ultimo passaggio, avvenuto durante l’età imperiale romana, portò l’alchimia a diventare una religione esoterica munita di un complesso sistema di rituali e con un linguaggio particolare. Il dio venerato era Ermete Trismegisto a cui erano attribuiti un gran numero di testi filosofici, soteriologici e religiosi scritti in età ellenistica (323 a.C.-31 a.C.) e imperiale. Questo Corpus Hermeticum presentava come supporto dottrinale la metafisica neoplatonica.
Gli alchimisti di questa corrente sono in gran parte leggendari ed oscuri. Godevano di grande fama Maria l’ebrea (una delle tante alchimiste della storia e creatrice del sistema di cottura a bagnomaria), Bolo di Mende, Ostane e Zosimo di Panopoli (primo autore che firmò col suo nome le opere).
ALTO MEDIOEVO.
In epoca medievale l’alchimia fu praticata e migliorata dagli Arabi. Gli alchimisti islamici condussero molti esperimenti che furono di vitale importanza per il futuro sviluppo della chimica e lasciarono una grande quantità di opere.
Tra gli alchimisti arabi più importanti troviamo Al-Razi (in Occidente conosciuto come Rhazes) che fece ricerche sugli acidi, la soda e il potassio e scoprì il metodo di distillazione. Inoltre l’attuale nomenclatura scientifica risente del linguaggio degli alchimisti e molti strumenti e sostanze come alcol, azoto, elisir e alambicco vengono dalla lingua araba.
Nell’VIII secolo visse il più noto alchimista arabo Jabir Hayyan (chiamato in latino Geber o Geberus), scopritore delle quattro qualità base di un elemento (caldo, freddo, secco e umido), che con i suoi scritti influenzò enormemente l’alchimia tardo-medievale in Europa.
Oltre agli studi sulla materia, gli Arabi lavorarono a lungo anche sugli aspetti teorici ed ermeneutici dell’alchimia.
BASSO MEDIOEVO.
In Europa l’alchimia ritornò in auge solo dopo il 1100 grazie alla riscoperta del corpus di Ermete Trismegisto e alla traduzione delle opere arabe iniziata da Gerardo di Cremona (traduttore dell’Almagesto) e Roberto di Chester (che tradusse dall’arabo il Liber de compositione alchimiae).
Il terreno d’incontro tra gli alchimisti arabi e quelli europei fu la Spagna. Da secoli questo territorio era in mano ai musulmani e da lì partivano per il resto dell’Europa molte innovazioni grazie alla fiorente attività filosofica e culturale degli Emirati locali.
Nel 1200 l’opera di riordino del materiale alchemico fatta dai filosofi Alberto Magno e Tommaso d’Aquino permise al primo vero alchimista medievale d’Occidente, Ruggero Bacone, di porre le basi della futura alchimia rinascimentale e moderna. Le sue opere più importanti furono il Breve Breviarium, il Tractatus trium verborum e lo Speculum Alchimiae.
In questo periodo storico l’alchimia raggiunse un elevato grado di complessità nelle credenze e nelle tecniche. Ricordiamo che l’alchimia non era solo esperimenti bizzarri, ma anche una continua ricerca filosofica e spirituale verso la perfezione.
Tuttavia nel 1300 la bolla Spondent pariter di Giovanni XXII segnò una tappa d’arresto fortissima per l’alchimia in quanto con questo decreto papale si vietava la pratica alchemica tra i cristiani. Perciò si aprì una stagione di declino per l’alchimia in cui spiccarono solo pochi personaggi come Nicolas Flamel e Heinrich Von Nettesheim.
RINASCIMENTO.
Nel XVI secolo operò forse l’ultimo grande alchimista, Paracelso (pseudonimo di Theophrastus Bombastus von Hohenheim).
Con lui si ebbe una grande riforma delle conoscenze alchemiche. Venne dato spazio al lato scientifico ed empirico dell’alchimia promuovendo gli esperimenti sulla chimica e sulla medicina e eliminando quell’alone di occultismo e misticismo che si era creato intorno all’alchimista pur conservando il sistema di dottrine filosofiche.
Paracelso rivoluzionò le basi delle arti alchemiche ponendo al centro la trasformazione dei metalli per il benessere dell’essere umano e non per creare l’oro a partire dal piombo.
Il corpo umano, secondo l’alchimista tedesco, era un sistema complesso influenzato dai principi dell’alchimia, il mercurio e lo zolfo ai quali si aggiunse il sale. Le disfunzioni tra questi elementi causavano le malattie che andavano curate con farmaci di origine minerale.
Durante il Rinascimento l’alchimia, nonostante la condanna del Papa, era ancora praticata più o meno segretamente anche da artisti come il Parmigianino e politici come Caterina Sforza e alcuni esponenti della famiglia Medici. Mentre in Inghilterra fu scritta un’opera sull’alchimia da John Dee, il consigliere della regina Elisabetta.
ETÀ MODERNA
I progressi della chimica e del metodo scientifico fecero slittare l’alchimia al rango di filosofia puramente teorica o addirittura di mera cialtroneria.
Gli alchimisti furono cacciati dalle università e derisi dagli scienziati per le loro credenze fallaci.
In ambito popolare gli studiosi dell’Ars Magna furono associati a dei ciarlatani che proponevano dei prodigiosi rimedi alla popolazione ignorante e scrivevano i cosiddetti “erbari dei falsi alchimisti”, trattati simili in linguaggio ed illustrazioni a quelli veri.
Ormai degradata a livello di superstizione, l’alchimia ebbe la sua ultima fiammata nel Novecento nella psicanalisi. Il famoso psicanalista
Carl Gustav Jung individuò nell’Opus Alchemicum (serie di processi da attuare per creare la pietra filosofale) un’analogia con l’itinerario psichico che conduce alla coscienza di sé ed alla liberazione dell’Io dai conflitti interiori. Questa relazione è stata approfondita in quattro libri scritti tra il 1944 e il 1956.
ALCHIMIA: PROCESSI E SIMBOLI.
Per creare la pietra filosofale gli alchimisti teorizzarono un lungo e complicato processo di lavorazione in sette procedimenti: quattro operazioni dette putrefazione, calcinazione, distillazione e sublimazione e tre fasi chiamate soluzione, coagulazione e tintura. Tutto questo sistema è detto Opus Alchemicum.
Durante l’Opus Alchemicum la materia che deve essere trasmutata viene mescolata allo zolfo e al mercurio e scaldata nell’Atanor, uno speciale forno. Anche il processo di cottura è molto lungo e diviso in fasi (il cui numero era legato ai poteri magici dei numeri) contraddistinte dal colore che assume la sostanza da trasmutare.
Gli alchimisti parlavano di tre gradi fondamentali della materia nella trasmutazione: il Nigredo in cui la sostanza si dissolve, l’Albedo dove avviene la sua purificazione ed in ultimo il Rubedo, la fase finale in cui questa si ricompone.
L’importanza nella creazione della pietra filosofale del mercurio, dello zolfo e, da Paracelso in poi, del sale deriva dalla convinzione degli studiosi dell’alchimia che questi minerali fossero alla base di qualsiasi materiale in quantità e purezza diverse.
Fortissimo ed affascinante è il valore simbolico che l’alchimia attribuiva agli elementi che si rivestivano di significati filosofici e spirituali.
Per interpretare i significati iconografici dell’alchimia, gli studiosi si affidano ad alcune opere come il Rosarium Philosophorum di Arnaldo da Villanova.
Gli alchimisti associavano i minerali agli astri e ai sette pianeti da loro conosciuti perché, nella loro percezione, i corpi celesti influenzavano i metalli secondo il principio dell’ermetismo “ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto”.Inoltre metalli e pianeti erano collegati all’anatomia e all’anima umane.
Anche i processi di creazione della pietra filosofale hanno dei simboli che li rappresentano. Il Nigredo, l’Albedo e il Rubedo sono associati a degli animali, rispettivamente il corvo, il cigno e la fenice. Inoltre la fenice è l’essere immortale capace di deporre l’uovo cosmico che in alchimia simboleggia il contenitore in cui era posta la materia da tramutare.
Infine nei criptici testi di alchimia ricorre spesso la figura dell’Ouroboros, il serpente che si mangia la coda, che indica la ciclicità del tempo e il concetto filosofico greco dell’ “Uno è il Tutto”.
Interpretare i simboli e intuirne la provenienza è un compito arduo per i ricercatori per via della difficoltà dei testi e per i diversi pensieri degli alchimisti.
L’EREDITÀ DELL’ALCHIMIA.
L’alchimia ha sicuramente lasciato il segno nella storia della scienza, della tecnica e della cultura sia in Occidente che in Oriente.
La figura enigmatica, quasi mitologica, dell’alchimista e l’aura di mistero ed eresia che circonda l’alchimia ha ispirato ed affascinato per secoli scrittori e registi. Molte sono le opere che hanno l’Ars Magna e i suoi criptici cultori come protagonisti o personaggi di rilievo.
Riferimenti all’alchimia sono presenti in lungo e in largo nella letteratura: nel Faust di Goethe (la creazione di un homunculus, un uomo artificiale), nell’Opera al nero di Marguerite Yourcenar (libro e poi film su Zenone, un alchimista) e in Cent’anni di solitudine, il capolavoro di Gabriel Garcia Marquez (il personaggio di Melquiades).
Altre opere famose che sono legate all’alchimia sono: L’alchimista di Paulo Coelho; Il pendolo di Foucault scritto da Umberto Eco e focalizzato sull’esoterismo; l’arcinoto Harry Potter e la pietra filosofale di J. K. Rowling in cui “l’elisir della lunga vita” è stato inventato dall’alchimista realmente esistito Nicolas Flamel.
Tra i romanzi dell’Ottocento spiccano Notre dame de Paris (Victor Hugo), La ricerca dell’Assoluto (Honoré de Balzac) e in ultimo l’opera di Mary Shelley Frankenstein.
Un piccolo spazio merita anche il manga giapponese Fullmetal Alchemist della mangaka Himoru Arakawa che racconta le vicende di due fratelli alchimisti alla ricerca della pietra filosofale per redimersi dai loro peccati.