“Lavoro come ricercatrice di lavoro” disse una persona. Dietro le quinte dei giovani italiani.

Ti racconto la mia storia, cara Italia. 

Due, tre anni di scuola materna, cinque anni di scuole elementari, tre di scuole medie, cinque di scuole superiori, test d’ingresso, di autovalutazione, di rottamazione più che altro dopo aver sputato veleno per anni. Tre anni di percorso, più due di specialistica (cinque continui in alcuni casi), dubbi amletici sul master di primo o di secondo livello, corsi su corsi per specializzarsi in un settore e… eccoci a 25-26 anni ad uscire di casa per la prima volta, salutando il sole per la prima volta, rendendosi conto che esistono altri umani come noi ed, addirittura, altre specie viventi.

“Buongiorno a tutti, sono Maria Grazia e sto cercando una occupazione”.

Io, come altri milioni di individui, abbiamo seguito questo iter, saltellando dal portafogli svuotato dei nostri genitori che ci donavano gentilmente stipendi interi per abbeverarci di cultura, al nostro porta spicci di studenti squattrinati che, per sbarcare il lunario durante i tempi da fuori sede, lavoravo nel week end sfruttando tutte le capacità possibili ed immaginabili.

Durante gli anni dell’universita siamo stati un po’ tutti lavapiatti, camerieri di sala, sfruttando capacità immense di sorreggere pile di libri di approfondimento di una materia, con lo stesso stile con il quale trasportavamo piatti di pizze ai commensali del ristorante.

C’era chi faceva il salto di qualità e che, vantando una istruzione superiore nel settore turistico-alberghiero, riusciva addirittura a lavorare per una intera stagione in hotel, bypassando, irrimediabilmente la sessione estiva e, con essa, anche l’avvicinarsi della tanto sudata LAUREA.

Poi, finalmente, una luce. Una corona di alloro schiaffata in testa, successivamente usata secca per dare sapore alla pasta e burro dei primi mesi di miseria da stagista. Io, fortunatamente, non mangio burro, o, piuttosto, ho avuto la fortuna di avere un menù abbastanza vario, grazie le gentili concessioni economiche dei miei genitori che mi hanno sempre supportato (sopportato), ma vi assicuro che ho visto qualche mia collega mangiare per 10 giorni di fila pane e pomodoro, illudendosi che questa dieta forzata le avrebbe poi permesso il costumino di Tezenis taglia baby a luglio (sempre se avrebbe mai avuto le utopiche ferie estive).

Poi il primo stipendio, uno stipendio a 3 zeri! Non tre zeri dopo, ma tre zeri prima, perché già sottratto di affitto, bolletta della luce (36kmila miliardi di euro nonostante il “leggero” lavoro di stagista porti via tipo dalle 10 alle 12 ore di lavoro con “domenica libera peró, eh”), gas, spesa (eh, il burro costa), abbonamento bus, metro, treno… chissà perché pur vivendo in una grande città, il lavoro lo si riesce a trovare sempre a non meno di 50 km, nell’unica zona non coperta da mezzi di trasporto diretti.

Poi finisce lo stage e, con una bagaglio enorme di esperienza ed un trolley pieno di curriculum si riparte alla ricerca del lavoro VERO. Quello che scriveremo sulla carta del mutuo quando riusciremo a comprare un’appartamento da 30 metri quadri con un mutuo da 1500 euro al mese.

Scherzi a parte (…e chi scherza?).

Ho pensato di raccogliere in un diario tutti i miei colloqui di lavoro, o, piuttosto, le loro proposte assurde, nella speranza di poter tornare un giorno da loro e fare la splendida, dicendogli “ecco a chi volevate dare voi 300 euro per 12 ore al giorno, ora sono ***”. Già, chi sono? E quando potrò pronunciare questa frase a qualcuno? Forse dovrei riprendere a studiare, forse dovrei iniziare a sfruttare le mie doti canore e musicali agli angoli dei supermercati. Già, potrei fare la stagione estiva così, almeno, tra 12 ore in hotel e 12 ore seduta su qualche gradino, potrò dire ai miei amici ad ottobre di essere stata alle Maldive!

Ho paura, ho tanta paura per me e per tutti i miei coetanei, per la generazione povera, per chi, come me, deve ancora uscire con gli amici e scambiarsi le scuse sui mal di pancia o mal di denti di turno per evitare di spendere troppo al bar ed uscirsene vincitori con una bottiglietta d’acqua da 50 centesimi, magistralmente “corretta” con una fetta di limone perchè, si sa, “fa figo”.

Ho paura perchè molti di noi forse non avrà mai figli, e in televisione si sentiranno sempre servizi allarmati su quanto l’Italia stia diventando un paese vecchio e per vecchi. Ho paura perchè so che prima o poi mi ritroverò a navigare tra le pagine internet alla ricerca di una compagnia aerea low cost che mi porterà lontano da qui per cercare fortuna. Ed ho ancor più paura di riuscirci, perchè vorrà dire che io, come italiana, avrò fallito, ed avrò portato le mie competenze in un posto che forse non mi accoglierà e non mi accetterà mai come lo farebbe la mia terra natìa.

 

Una giovane precaria.

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