“A tre anni volevo diventare uno chef. A cinque volevo essere Napoleone. Poi la mia ambizione non solo è cresciuta…volevo diventare Salvador Dalì è basta”

Salvador Dalì è stato uno dei maggiori esponenti del mondo artistico del XX secolo. Si è distinto per la sua dirompente immaginazione oltre che per la sua vita eccentrica, caratterizzata da lutti, comportamenti provocatori che gli valsero prima l’espulsione dalla Accademia delle Belle Arti e poi dal gruppo dei surrealisti guidato da Breton, e un egoismo narcisistico.

Uno degli eventi più importanti che influenzò la vita del pittore catalano, fu la morte di suo fratello. Nato prima di lui, portava lo stesso nome e Dalì crebbe con la convinzione che egli fosse la reincarnazione del fratello perduto. Il suo nome era un omaggio ad egli infatti, sebbene il pittore fosse convinto che era stato chiamato Salvador “perché era destinato a salvare la pittura minacciata di morte dall’arte astratta, dal surrealismo accademico, dal dadaismo e in genere da tutti gli ‘ismi’ anarchici.”

sostanbeatle-.-com Il delirante e paranoico mondo di Salvador Dalì
Salvador Dalì

Sin da subito mostrò una passione per la pittura e si avvicinò al movimento surrealista, in quanto tale corrente artistica gli permetteva di esprimere desideri e pulsioni inconsce, “dando loro l’immagine di allucinazioni iperrealistiche”.

Il suo stravagante modo di essere, oltre alle evidenti allusioni sessuali delle sue opere, colpirono il gruppo parigino surrealista. Tra questi ricordiamo sicuramente quella che divenne sua moglie: Gala. Di lei, parla in termini quasi psicoanalistici, essendo la psicoanalisi un’elemento di spicco nelle sue opere.

“Era destinata ad essere la mia Gradiva (“Colei che avanza”), la mia vittoria, la mia donna. Ma per farlo, bisognava che mi guarisse. E mi guarì, grazie alla potenza indomabile e insondabile del suo amore, la cui profondità di pensiero e abilità pratica surclassavano i più ambiziosi metodi psicoanalitici”

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Salvador Dalì

Nei suoi primi anni di adesione al Surrealismo, Dalì diede alla sua tecnica un nome ben specifico: metodo paranoico-critico. “Le immagini che l’artista cerca di fissare sulla tela nascono dal torbido agitarsi del suo inconscio (la paranoia) e riescono a prendere forma solo grazie alla razionalizzazione del delirio (momento critico).”

Il pittore stesso invece afferma che si tratta  di un “metodo spontaneo di conoscenza irrazionale basato sull’associazione interpretativo -critica dei fenomeni deliranti”. Per spiegare meglio questo concetto, portiamo come esempio alcune sue opere.

La più conosciuta è sicuramente “La persistenza della memoria”. Si tratta di un quadro che rappresenta i dintorni di Port Lligat a cui il pittore decide di aggiungere un tocco sorprendente: degli orologi molli. Ancora più sorprendente l’idea da cui è scaturita una delle sue opere più famose: Gli orologi molli, poggiati sul paesaggio, che volevano indicare una visione irrazionale dello scorrere del tempo, prendono ispirazione dal Camembert, un formaggio dalla tenera consistenza che Dalì aveva assaggiato ad una cena.

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Salvador Dalì

Attraverso il metodo paranoico-critico Dalì realizzò anche opere come “Cigni che riflettono elefanti” e “Apparizione di un volto e di una fruttiera sulla spiaggia”. In entrambi i quadri  vige l’idea che sia possibile ottenere una rappresentazione di un oggetto che allo stesso tempo è qualcosa di totalmente diverso.

“Cigni che riflettono elefanti”

La particolarità del quadro risiede nel contrasto tra il selvaggio paesaggio della foresta e l’eleganza dei cigni che si specchiano nel lago. Tuttavia l’elemento paranoico-critico risiede proprio in ciò in cui si riflette. Non cigni, bensì possenti elefanti con le loro proboscidi. Una potente illusione ottica che può incantare e disorientare allo stesso tempo l’osservatore che per comprendere l’opera nella sua interezza non dovrà soffermarsi solo in superfice ma porre attenzione ad ogni singolo e strano dettaglio.

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Salvador Dalì

 “Apparizione di un volto e di una fruttiera sulla spiaggia”.

Osservando il quadro una prima volta ci appare chiaramente cosa vi sia dipinto: una fruttiera su una tovaglia bianca e sullo sfondo delle rocce. Ma la certezza di una rappresentazione “banale” scompare ad una seconda osservazione più attenta. Ed ecco che vediamo come un oggetto diventa tutt’altro: la fruttiera sembra un volto di cui ne riconosciamo in particolar modo le labbra, e la roccia sullo sfondo assume le sembianze di un cane. “ma che cosa sto guardando?” si chiederà dunque lo spettatore cercando di carpirne il significato. Ed è proprio su questo dubbio che si insinua tutto il surrealismo paranoico-critico di Salvador Dalì, che afferma egli stesso che:

“Il fatto che neppure io, mentre dipingo, capisca il significato dei miei quadri, non vuol dire ch’essi non ne abbiano alcuno: anzi, il loro significato è così profondo, complesso, coerente, involontario da sfuggire alla semplice analisi dell’intuizione logica».

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Salvador Dalì

Fonti:

http://www.francescomorante.it/pag_3/313a.htm

http://www.stateofmind.it/2016/10/dali-surrealista-paranoico/

Approfondimento:

https://www.informagiovani-italia.com/salvador_dali.htm

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