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India Express #4: alla scoperta di Haridwar

Un breve soggiorno nella città sacra

Quella mattina, tornai alla guest-house una vota finita la colazione e preparai lo zaino per ripartire per Hariward.

Salutai i ragazzi che avevo conosciuto in quel frangente e mi diressi verso la stazione dei treni. Purtroppo le sorprese non erano finite.

Infatti, arrivato al binario, notai una persona che sembrava dormisse distesa su di una panchina, ma non ci feci molto caso in quel contesto e continuai a passeggiare su e giù in attesa del treno per Haridwar.

Purtroppo, di lì a poco, si presentarono due ragazzini muniti di una coperta, che prelevarono quel cadavere e lo portarono via. Rimasi sconvolto.
L’approccio con la morte è un po’ una delle realtà più tristi, ma anche la più vera dell’India, nel senso che soprattutto in certe città viene vissuta molto intensamente e il rituale funerario è uno degli elementi fondanti di tutta la pratica religiosa.
Notai un’altra turista che, come me, prendeva quel treno e si sedette nella mia stessa carrozza.

Accanto a me stava seduto un ragazzo sikh dagli splendenti occhi azzurri, con una folta barba castana che gli incorniciava il viso. Iniziò a parlarmi, ma non mi sentii subito a mio agio, infatti mi domandò se fossi solo ma io mentii e gli dissi che stavo viaggiando con la turista che si era seduta nel nostro scompartimento.

In realtà, non aveva nessuna cattiva intenzione,e vide che al collo indossavo una sorta di mantra: una collana fatta di 108 perle di legno che di solito si usa per meditare. Così mi consigliò, molto gentilmente, di usarla “use it!” e mi insegnò un mantra shivaita molto praticato: Om namah shivaya.
Fui molto sollevato una volta conosciuto il suo intento, continuava a fissarmi negli occhi ripetendomi: “use it!” e gli confessai che in realtà viaggiavo da solo.
(continua)

Alla scoperta di Haridwar

Il treno arrivò ad Haridwar e ricordo le numerose statue che sembravano di plastica fuori dagli ashrams: la pelle delle divinità era bianca, decorate di blu, rosso e color oro. Personaggi del pantheon induista campeggiavano alti diversi metri lungo una strada che percorsi fino in fondo; il sole splendeva alto.

Arrivai ad una specie di albergo, molto curato, dove mi chiesero subito il passaporto e non mi ricordò per nulla quello in cui avevo dormito a Delhi. Fuori stava seduto un baba che mi accolse facendomi il segno dell’Om con la mano.

Il clima meditativo, ordinato e pulito del contesto mi colpì subito, infatti anche qui trovai diversi occidentali in tuta che svolgevano le normali attività della giornata. Mi venne assegnata una camera doppia, ma pagavo davvero poco e soltanto per una persona.Ero per la prima volta all’interno di un ashram ad Haridwar.

Mi venne mostrata un po’ tutta la struttura: la stanza dove si pregava e cantava tutti insieme, la sala mensa e il bellissimo giardino sul quale si affacciava il terrazzino della mia camera; ecco perchè c’era un baba all’ingresso! Mi trovavo in un ambiente meditativo.

Come al solito non mi risparmiai in merito alla mia solita passeggiata perlustrativa del luogo nuovo nel quale mi trovavo e mi incamminai per arrivare fino al Gange, se i miei ricordi non mi ingannano: prima volta che avrei visto un ghat in tutta la mia vita e soprattutto prima volta che mi affacciavo sul fiume sacro, meta di innumerevoli peregrinazioni per tutti gli induisti del mondo.

Un gruppo di scimmie lungo la strada in terra battuta, se la prese con un cartello stradale e lo stavano quasi distruggendo, così decisi di cambiare strada.

Un altro baba, molto anziano, che passeggiava lungo la via, venendomi incontro mi chiese se avessi qualche sigaretta da offrirgli. Gli porsi un bidi: una tipica sigaretta indiana fatta di una foglia di eucalipto arrotolata che scoprii in quel viaggio e lui la accettò molto gentilmente e ne tolse il filo rosso che la teneva arrotolata, per accendersela lungo la via. Una breve benedizione e ci separammo.

Decisamente incontrare gli asceti non è nulla di tradizionale per le nostre abitudini sono come i nostri frati e parlano solo della vita dello spirito.

(continua)

Alla scoperta di Haridwar

Arrivai al ghat dove c’era anche la tradizionale catena immersa in acqua per permettere ai pellegrini di bagnarsi nelle acque del fiume sacro e subito la cosa che mi colpì fu la calca di sadhu, scimmie, cani, bancarelle di fiori,odore di incenso e quant’altro potesse rendere magico quel tardo pomeriggio.

Vidi il primo naga-sadhu: sono baba che non vestono nulla, ma sono ricoperti della cenere sacra di Shiva, se ne stava steso al centro del ghat, senza una gamba.

Un sadhu di mezza età si avvicinò a me dicendomi in perfetto inglese: tu sei molto malato, vieni con me al mio ashram e ti darò delle pillole ayurvedi che che ti cureranno.

Come al solito rimasi allarmato anche da questo incontro e la cosa mi scosse, ma aspettai sera sul ghat accanto alle acque gelide del Gange e poi tornai verso l’ashram che mi ospitava.

Era in corso la cerimonia serale nella grande sala coi pavimenti in marmo lucido e tutti cantavano e battevano le mani in lode a Krishna seduti a gambe incrociate.

Mi sedetti e presi parte alla cerimonia, poi, una volta finita, ci recammo nella sala mensa dove il cibo veniva servito da camerieri del villaggio: ragazzini di giovane età che spiegavano da cosa era composto il thali: il piatto tradizionale indiano.

Andai a dormire quella sera molto rilassato, in una atmosfera tranquilla, deciso a proseguire per Rishikesh, perchè l’unica persona che conoscevo era diretta lì, per il momento ero completamente solo, ma immerso in una atmosfera come al solito mistica e accogliente.

Nella mia mente scorrevano tutti i ricordi di quello che avevo visto sin dalla prima notte a Paharganj.

Il mio ritorno in Italia era previsto fra non prima di due mesi e avevo voglia di vedere più cose possibili, così decisi che il giorno seguente sarei già ripartito per Rishikesh: la città dei veggenti.

 

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