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Il contatto dell’uomo con l’ambiente naturale. L’agricoltura sociale.

Come l’uomo si rapporta all’ambiente naturale attraverso le pratiche di agricoltura sociale.

In riferimento al Piano Strategico nazionale nell’Asse III,  basato su una diversificazione dell’economia agricola e alla qualità della vita nelle zone rurali, oltre che sulla competitività nei settori agro-industriali e forestali con le varie e rilevanti differenze tra le regioni e le aree, ed una valorizzazione delle potenzialità legate al settore primario, molto forte è l’esigenza di incentivare le aziende agricole, in particolar modo quelle che svolgono la loro attività anche nel campo dell’agricoltura sociale.

Molte regioni, tra i quali la Puglia, hanno già previsto nei propri Piani per lo Sviluppo Rurale investimenti mirati a svolgere molte iniziative e a fornire le aziende agrarie di strumenti in grado di realizzare attività con prestazioni più elevate, anche per quanto riguarda la stessa agricoltura sociale.

Attualmente si parla spesso del contatto e del rapporto dell’uomo con l ambiente naturale e con la terra, ritenendoli fondamentali anche nei processi sociali e sociologici oltre che psicologici e riabilitativi per alcune particolari situazioni problematiche di disagio fisico o mentale. E’ proprio il lavoro agricolo che apre le porte a chi non si ritiene possa essere in grado di inserirsi in contesti sociali o lavorativi.  Molto importante è poi l’aspetto economico nella diversificazione delle funzioni rurali dell’agricoltura, che permette l’integrazione di diverse forme reddituali.

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L’agricoltura sociale.

L’agricoltura sociale gode quindi, attualmente, di un periodo di grande considerazione da parte delle istituzioni pubbliche e private, e questo mette in evidenza come si stia delineando un nuovo modello di welfare che permette la nascita di rapporti di domanda di ruralità, e permette la valorizzazione di tradizioni storiche che ormai erano andate perdute.

La storia dell’agricoltura italiana moderna, e in particolare quella pugliese, trae le sue origini già nella negli anni cinquanta dell’ottocento, nel periodo delle grandi crisi, che avevano portato miseria, carestie ed un altissimo tasso di disoccupazione.  Dopo quasi un decennio, in seguito all’unificazione dell’Italia, fondamentale per l’economia, e allo sviluppo delle vie di comunicazione, iniziò un reale processo di crescita dell’agricoltura. Nel 1861 l’agricoltura italiana era povera ma caratterizzata da una grande varietà di colture, come ad esempio nella Pianura Padana, nel quale si erano sviluppati assetti produttivi capitalistici in grado di unire l ‘agricoltura all’allevamento. Vaste erano le colture di cereali nel Nord, e molte erano le aziende a conduzioni familiare; nel centro Italia invece molto diffuso era il sistema della mezzadria che prevedeva una divisione della terra in appezzamenti di diverse dimensioni che venivano coltivati dai contadini e dai suoi famigliari, i quali dividevano poi il ricavato con il padrone, grazie ad una forma contrattuale che prevedeva anche la manutenzione, le spese e gli attrezzi agricoli.

L’agricoltura del Sud invece era divisa nelle colture di ortaggi e frutta, e nella realtà latifondista. Il latifondo è composto da grandi distese di campi di grano coltivati e amministrate ancora con canoni feudali, con rapporti di dipendenza personale tra signore e contadino.  Quindi la seconda metà dell’ottocento vedono da un lato lo sviluppo dell’agricoltura, ma allo stesso tempo vedono un arretramento del settore industriale che non riuscì a capire l’importanza dello sviluppo ferroviario, tanto da poter incrementare i settori siderurgici e meccanici, come invece era avvenuto in altri paesi europei. La politica italiana ottocentesca, basa la sua idea sull’agricoltura come base della crescita economica, poiché vedeva nel settore primario l’unica fonte in grado di accumulare capitali che potessero rendere possibile il potenziamento della nascente industria e il suo sviluppo nel futuro.

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Il Welfare State.

E’in questo clima storico, politico e sociale che nascono le prime forme di Welfare State, poichè iniziavano ad affermarsi sistemi ed apparati di sicurezza sociale. Vengono introdotte le prime assicurazioni sociali pubbliche, contro gli infortuni, contro le malattie, contro la disoccupazione e per la vecchiaia. Tali modelli di assicurazione sociale, sono importanti in quanto hanno natura obbligatoria, non sono circoscritti a singole corporazioni professionali, tutelano rischi e rappresentano quindi una sorta di istituzionalizzazione dei sistemi di assicurazione sociale. Gli ultimi venti anni dell’ottocento si distinguono per la nascita e sviluppo dello “Stato Sociale”, che permette la valorizzazione della solidarietà sociale, che offre servizi sociali agendo in modo flessibile; in questo contesto politico, culturale e sociale si può parlare di “diritti sociali”, che fanno emergere il concetto di solidarietà come integrazione sociale per la equa divisione delle risorse e degli oneri sociali. Nasce anche il concetto di “sicurezza Sociale, che si fonda sull’ampliamento delle funzioni sociali dello stato, in particolar modo nel contesto italiano, dove pian piano di è determinato un processo di revisione del diritto amministrativo, per promuovere l’intervento dello stato nei settori in cui il potere politico-economico delle classi più abbienti non era ancora definito.  Di enorme valore sono le “leggi sociali italiane”, che consacravano i principi dell’obbligatorietà e dell’assicurazione e del rischio professionale, che estende l’area della tutela e che costituisce la base per un riordino di tutta la materia. Queste leggi trovano il completo sviluppo nel 1917 con l’estensione della tutela contro gli infortuni in agricoltura.

Cinquant’anni dopo la riforma della previdenza, la svolta avviene quindi anche per il settore agricolo, poiché viene smantellata la disoccupazione basata sulle giornate lavorative che danno diritto all’assegno di disoccupazione (mantenendo però un tetto minimo), si forniscono maggiori garanzie ai lavoratori, spingendo anche i datori di lavoro a dichiarare e consolidare la manodopera incentivando le aziende agricole. Questo porta alla luce l’argomento che sta interessando particolarmente questi anni, il caso degli operai “invisibili”. Il lavoro nero negli ultimi anni è sicuramente diminuito nell’ultimo ventennio, ma allo stesso tempo occupa ancora un larga parte dell’economia italiana. Gli occupati dipendenti non regolari nel settore agricolo sono secondo le stime, quasi al 50%. L ‘unico modo sicuro per eliminare o almeno ridurre considerevolmente il fenomeno, dovrebbe essere una attività mirata alla repressione del lavoro nero, proprio perché questa tipologia sta entrando a far parte della struttura economica italiana. Il lavoro nero nono ha garanzie assicurative, non ha contribuzioni sociali, ma risulta qualcosa di conveniente sia per le famiglie che le imprese i quali possono risparmiare in imposte e contributi. Ma gli invisibili sono anche i migranti che, secondo la Confederazione Italiana Agricoltori (CIA), sono circa 140 mila. Sono lavoratori spesso indispensabili per il lavoro agricolo, che lavorano in condizioni pessime, quasi di schiavitù, con paghe a cottimo e senza contratto.


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L’agricoltura.

Quindi il termine “agricoltura” si riferisce fondamentalmente alla coltivazione delle piante, destinate a scopo alimentare o a fornire altri materiali utili, sfruttando un patrimonio ampiamente “naturale”.  E’ dall agricoltura che dipende l’alimentazione umana, che fornisce fibre tessili, legname, altri prodotti destinati ai diversi usi industriali. L’agricoltura è vista come principale fornitrice dell’industria chimica. L posizione dell’agricoltore invece rimane una posizione singolare.  Da una parte l’uomo che è così legato alla sua terra, viene costantemente aggredito dalla Modernità, che tenta d fargli perdere la sua peculiarità, dall’altra l’erosione della classe rurale è soprattutto a livello quantitativo.  Dal punto di vista economico, il peso delle produzioni agricolo rappresenta uno dei punti percentuali del valore dei beni prodotti. Nella metà degli anni novanta del novecento, l’agricoltura italiana copriva solo il 3% del prodotto interno lordo. Sono questi gli anni in cui il mondo rurale affronta grossi problemi  causati dalla globalizzazione dei mercati, dalla creazione della WTO, e dalla concorrenza sui prezzi molto difficile da sostenere.  Questo riporta agli anni ’60, quando avvenne l’unificazione dei mercati agricoli europei per poter sostenere i redditi agricoli, quando ci fu poi la creazione di forme di controllo amministrativo delle produzioni .  Le scelte verso le differenti colture e l’impostazione aziendale, vedono gli imprenditori agricoli costretti ad ottimizzare al massimo l’ottenimento del prodotto, contenendo il più possibile i costi di produzione ma allo stesso tempo razionalizzando le strutture. Questo di conseguenza richiede che la produttività debba essere mantenuta ad alti livelli, per poter mantenere allo stesso tempo alti standard di redditività da ottenere sulle singole unità di suolo. Lo stesso importante concetto di produttività riappare fortemente nel secondo dopoguerra, nel momento in cui si vennero a diffondere agricolture più avanzate, con tecniche di fertilizzazione, irrigazione e meccanicizzazione molto più sviluppate e che stavano continuando a crescereanche grazie ai numerosi progressi scientifici.

Alla luce dei 150 anni di unità di Italia, corrispondono anche 150 anni di welfare agricolo, come affermato dalla stessa Previdenza Agricola, che celebra l’anno dell’unità citando i versi iniziali dell’ode patriottica di Manzoni “Marzo 1821”. Il governo dell’agricoltura italiano viene considerato molto debole, un settore che risente delle crisi e che, sfortunatamente, rimane sempre a livelli molto più bassi del reddito nazionale pro capite. E’ allo stesso tempo considerato il settore che offre le più grosse opportunità lavorative, soprattutto per quanto riguarda le aziende vitivinicole, con le loro potenzialità, tanto da riuscire a battere l’occupazione e sostenere addirittura l’occupazione di altri settori. Tutto ciò ha la possibilità di svilupparsi ulteriormente solo grazie alla creazione di nuove associazioni agricole, alla creazione di nuove strategie anche a livello competitivo in modo da rafforzare il ruolo del settore primario favorendo la commercializzazione e rafforzando i rapporti tra le tre componenti dell’economia (agricoltura, industria, servizi).

 

 

Bibliografia di riferimento:

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