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GLI INTERNATI: cronache di una camicia di forza

 PROLOGO – LA STORIA DI FRANK MANCINO E MICKY

Voi credevate che Student’s Generations si fermasse solo alla cronaca, solo ai giovani, all’università? Student’s Generations ha deciso di aprire le porte alle Case di Cura!

Ed ecco che io e la mia gemella, dopo essere state prelevate con la forza un pomeriggio, durante la stesura di alcuni articoli, ci siamo ritrovate ad affrontare il bianco candore delle pareti di una casa di cura.

Questo accadde il 15 gennaio 2017, quando ci ritrovammo a scrivere su alcuni post-it dei pensieri sulla nostra situazione. Come ci eravamo finite in un centro di igiene mentale? Perchè?

Perchè non ricordavamo nulla di questo?

Ci guardavamo intorno spaesate e scrivevamo ossessivamente su quei fogli che ci aveva distribuito il “sergente Daniel”, così come ci avevano detto di chiamarlo qui in manicomio.

Perchè di un manicomio si trattava. E noi non sapevamo davvero come caspita eravamo finite qui. Maledizione!

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La direttrice di questo stupido posto, Alexandra, con la sua aria fredda e gelandoci con uno sguardo, ci aveva detto che avremmo avuto a disposizione un computer, senza connessione internet.

Ma avremmo potuto scrivere tutto ciò che volevamo, anche un diario virtuale.

Ed io, Greta, e mia sorella Giuliette avevamo deciso che avremmo occupato il tempo scrivendo, e cercando di capire come e quando cavolo uscire da questo orribile posto.

Giuliette aveva preso quel computer portatile pesantissimo e l’aveva messo sotto al braccio destro, custodendolo gelosamente, nemmeno fosse uno scrigno del tesoro.

Camminavamo veloci, spaventandoci sentendo le urla provenire da alcune stanze e sentendo strani accenti.

Ci voltammo verso l’infermiera Mary, che, con il suo sguardo ammiccante e le sue labbra gonfie e rosse in maniera spropositata ci disse:

“Questa è la casa di cura di Brighton, siete qui perchè avete avuto un esaurimento nervoso dopo aver pubblicato quel libro sul treno, non ricordate?

Qui si rifugiano tutti gli scrittori che hanno bisogno di rilassare il cervello. Ma attenzione: alcuni di loro soffrono di schizofrenia a livello patologico, sono pazzi veri e non semplici scrittori!”.

Si voltò e stese il suo braccio ossuto ed indicò con l’indice due ragazzi. Noi eravamo troppo impegnate a guardare il suo abbigliamento per alzare lo sguardo verso i due.

L’infermiera Mary forse non sapeva di trovarsi in un manicomio, dal momento che indossava una divisa troppo corta e delle calze troppo provocanti.

Io e mia sorella ci siamo guardate in faccia stranite: non erano calze, erano autoreggenti!

Abbiamo iniziato a ridere sguaiatamente (ricordando un po’ le risate degli altri “pazzi”): era appena passato il sergente Daniel ed aveva ricambiato il saluto della giovane Mary direttamente guardandole la scollatura. Credo le avesse salutato le tette!

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Giuly, come ero abituata a chiamarla, mi strattonò e mi spinse verso un angolo del salone e mi urtò più di una volta il fianco con il suo gomito appuntito.

“Ma cosa vuoi, sorellaccia?! Mi stai trapanando un fianco, te ne rendi conto?” e lei si fece subito seria e mi disse:

“Guarda quel ragazzo lì, è identico a quel ritratto che disegnavi quasi ogni domenica quando papà ti portava gli album ed i carboncini colorati. Come facevi a conoscerlo?”.

Io non lo conoscevo, ma sentì un impulso strano.

Era bellissimo, cioè, non un uomo di quelli belli belli, ma un uomo di quelli strani.

Avrà avuto poco meno di trenta anni, aveva un viso di quelli simpatici, ma spenti da qualcosa di grande che aveva sicuramente colpito negativamente la sua vita.

Quanto avrei voluto avere quelle autoreggenti!

Mi sarei avvicinata se avessi avuto il coraggio.

Ese non avessi avuto tra i piedi quella guastafeste di mia sorella.

MMMM… avevo trovato il lato positivo del manicomio. Che cosa mi importava più dell’amnesia e del non sapere come mi trovassi lì.

Io quella notte sarei entrata nella sua stanza, gli avrei legato il braccio destro al letto con il pantalone del pigiama e gli avrei fatto passare ogni trauma.

“Mia sorella non deve saperlo! Non deve saperlo! Si dice che i gemelli siano un po’ telepatici.

Beh, Giuly, azzera il cervello, perchè quello che farò stanotte potrebbe spaventarti parecchio!”

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E, mentre pensavo e ripensavo a tutto quello che avrei potuto combinare, ed a quanto in realtà io fossi una persona “tutto fumo e niente arrosto”.

Non avrei nemmeno avuto il coraggio di passargli avanti senza arrossare o inciampare perdendo l’ultimo briciolo di dignità, fummo attirate da urla.

“Un italiano!” urlai a Giuly, che si tappava le orecchie per il tono palesemente troppo alto che avevo avuto nell’affermarlo.

“Su, forza, andiamo a vedere che cavolo sta dicendo!”.

Su una specie di palchetto, in una stanza adiacente, c’era lui, un ragazzo dalla corporatura strana, direi ridicola.

Urlava a gran voce:

“Ragazzi, mettiamocela tutta! Il giornale del Manicomio è la nostra speranza per guarire, è la nostra creatura.

Il giornale deve andare in stampa domani mattina!

E poi diventeremo famosi, guadagneremo un sacco di soldi, e finalmente potrò pagarmi il viaggio in Spagna! Ragazzi, stanotte ho sognato una donna del segno dei Gemelli che mi ha detto che mi guiderà ogni notte nei miei sogni e mi consiglierà i migliori articoli. Forza!”.

Ma chi è questo? Abbiamo pensato subito che fosse uno dei “pazzi veri”. Delirava, parlava su quel palchetto, ma peccato che nessuno lo ascoltasse e che la stanza fosse vuota. Peccato.

La sua corporatura era davvero stranissima, aveva un testone enorme e delle gambe magrissime.

Io e mia sorella pensammo subito ad uno spiedino su cui poggiava una mozzarella con gli occhiali e la barba.

E scoppiammo nuovamente a ridere.

Il bello di trovarsi in un posto come quello con la persona a cui si vuole più bene è quello: trovare il lato positivo in tutto……….

…………………………………CONTINUA NELLA PROSSIMA PUNTATA!!!!!!!!

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