La direttrice di questo stupido posto, Alexandra, con la sua aria fredda e gelandoci con uno sguardo, ci aveva detto che avremmo avuto a disposizione un computer, senza connessione internet.

Ma avremmo potuto scrivere tutto ciò che volevamo, anche un diario virtuale.

Ed io, Greta, e mia sorella Giuliette avevamo deciso che avremmo occupato il tempo scrivendo, e cercando di capire come e quando cavolo uscire da questo orribile posto.

Giuliette aveva preso quel computer portatile pesantissimo e l’aveva messo sotto al braccio destro, custodendolo gelosamente, nemmeno fosse uno scrigno del tesoro.

Camminavamo veloci, spaventandoci sentendo le urla provenire da alcune stanze e sentendo strani accenti.

Ci voltammo verso l’infermiera Mary, che, con il suo sguardo ammiccante e le sue labbra gonfie e rosse in maniera spropositata ci disse:

“Questa è la casa di cura di Brighton, siete qui perchè avete avuto un esaurimento nervoso dopo aver pubblicato quel libro sul treno, non ricordate?

Qui si rifugiano tutti gli scrittori che hanno bisogno di rilassare il cervello. Ma attenzione: alcuni di loro soffrono di schizofrenia a livello patologico, sono pazzi veri e non semplici scrittori!”.

Si voltò e stese il suo braccio ossuto ed indicò con l’indice due ragazzi. Noi eravamo troppo impegnate a guardare il suo abbigliamento per alzare lo sguardo verso i due.

L’infermiera Mary forse non sapeva di trovarsi in un manicomio, dal momento che indossava una divisa troppo corta e delle calze troppo provocanti.

Io e mia sorella ci siamo guardate in faccia stranite: non erano calze, erano autoreggenti!

Abbiamo iniziato a ridere sguaiatamente (ricordando un po’ le risate degli altri “pazzi”): era appena passato il sergente Daniel ed aveva ricambiato il saluto della giovane Mary direttamente guardandole la scollatura. Credo le avesse salutato le tette!

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